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Le cinque facce della violenza digitale: perché anche la tua vita online ha bisogno di confini

Digital Violence Violenza Digitale

Dimentica il mito secondo cui la violenza online avviene solo nei forum del dark web o in chatroom oscure. Nel 2025 la violenza digitale non è più ai margini della rete e colpisce in modo sproporzionato le donne.

Secondo il Rapporto Clusit 2025 sulla Cybersecurity, i casi di stalking digitale in Italia sono saliti da 158 nel 2022 a 185 nel 2024, con il 68% delle vittime donne.

Il revenge porn continua a colpire centinaia di persone – 266 casi lo scorso anno – mentre le molestie online non accennano a diminuire, con 545 denunce e con una netta prevalenza di vittime femminili (62%). A questi si aggiungono 1.525 episodi di sextortion e centinaia di casi di romance scam, rivolti in particolare a donne intorno ai cinquant’anni.

Non parliamo di crimini isolati, ma di estensioni digitali di dinamiche di potere già presenti offline, amplificate dalla tecnologia. Quando il controllo incontra la connettività, l’abuso fa un salto di livello.

Le cinque facce della violenza digitale

Nominiamole e smettiamo di fingere che siano semplici “problemi tecnici”. Condividono tutte un tratto comune: l’ingegneria emotiva. Perché dietro ogni schermo c’è una persona che scopre, spesso a caro prezzo, che l’intimità digitale può avere conseguenze profondamente reali.

  1. Stalking digitale

È il lato oscuro dell’attenzione online: il controllo ossessivo dell’attività o dei movimenti di qualcuno, o persino l’impersonificazione di un’altra persona, rubandone l’identità digitale.
Può manifestarsi attraverso messaggi continui, apparizioni improvvise in luoghi pubblici o “check-in” costanti tramite app condivise e geotag. Ciò che rende lo stalking digitale pericoloso è la sua subdola normalità: spesso indossa la maschera della premura – “Volevo solo assicurarmi che stessi bene”. Ma quando la cura diventa sorveglianza, la sicurezza si trasforma in violenza.

  1. Molestie online

Dagli insulti anonimi alle campagne d’odio coordinate, le molestie digitali trasformano la visibilità in un’arma. Possono assumere la forma di commenti sessualizzati, foto manipolate o ondate di odio destinate a zittire una voce. Per molte donne, i social network diventano una lama a doppio taglio: spazio di espressione e, allo stesso tempo, campo di battaglia per la propria dignità. Il costo emotivo è concreto: l’ansia, l’isolamento, e la paura, molto reale, di essere semplicemente presenti online.

  1. Revenge porn

Quando l’intimità diventa un’arma, la violenza digitale raggiunge una delle sue forme più crudeli. Il revenge porn – la diffusione non consensuale di contenuti intimi – non riguarda il sesso, ma il potere e l’umiliazione. Le vittime vengono spesso ricattate, minacciate o esposte al giudizio pubblico. E anche quando quei materiali vengono rimossi, l’eco resta: una cicatrice permanente sull’identità digitale e sulla percezione di sé.

  1. Sextortion

Negli schemi di sextortion, gli aggressori usano materiale intimo – reale o falsificato – per estorcere denaro, favori o silenzio. A volte la “prova” nemmeno esiste, ma la paura la rende reale. Uomini e donne restano intrappolati tra vergogna e panico, nella convinzione di non avere via d’uscita. L’antidoto è la consapevolezza: non pagare mai, non trattare mai, segnalare subito.

  1. Romance scam

La forma più poetica – e tragica – della violenza digitale. I truffatori costruiscono legami emotivi credibili nel corso di settimane o mesi, fingendosi soldati, medici o imprenditori in difficoltà. Trasformano l’empatia in moneta. Queste truffe non rubano solo denaro: erodono fiducia, lasciando ferite psicologiche profonde e una cautela che spesso dura per sempre.

Non è solo una questione di dati, è una questione di dignità

La violenza digitale non nasce dalla tecnologia mal usata, ma dal potere redistribuito. Ogni messaggio, clic o foto condivisa può trasformarsi in un’arma quando la fiducia viene violata. La parte più inquietante? L’invisibilità del crimine.

Per questo l’U.A.C.I. – Unità di Analisi Crimine Informatico – forma le forze dell’ordine a riconoscere i primi segnali di controllo tecnologico: partner che chiedono accesso alla geolocalizzazione o richieste costanti di “prove d’affetto”. Non sono gesti d’amore. Sono campanelli di allarme.

Come restare umani in una zona di guerra digitale

Non serve paranoia, serve consapevolezza. Ecco un breve vademecum di autodifesa digitale:

  • Usa la 2FA come la crema solare: invisibile, ma un giorno ti salverà la pelle.
  • Pensa prima di cliccare: se un messaggio scatena emozioni prima della logica, probabilmente è una trappola.
  • Non condividere mai ciò che non vorresti vedere su un maxischermo in Piazza del Duomo.
  • Aggiorna tutto: i dispositivi obsoleti sono finestre aperte in quartieri pericolosi.
  • Controlla le app: non servono 50 autorizzazioni per accendere una torcia.
  • E quando qualcosa ti sembra sbagliato, non restare in silenzio. Rivolgiti a organizzazioni specializzate o a professionisti della sicurezza digitale.

#SafeDigitalYou: la cybersecurity con empatia

HWG Sababa non protegge solo le reti: protegge le persone. Quando arrivano ondate di phishing, furti d’identità o attacchi spyware, gli analisti di HWG Sababa traducono il caos in chiarezza. Attraverso programmi di formazione e sensibilizzazione rivolti a team, scuole e manager, insegnano a riconoscere la manipolazione prima del malware. Perché la cybersecurity non è solo un firewall, è mentalità.

Il web è nato per connetterci. E può ancora farlo se lo costruiamo con consenso, rispetto e consapevolezza critica. La violenza digitale forse non scomparirà mai del tutto, ma la consapevolezza trasforma le vittime in voci e i professionisti in alleati. La tecnologia deve restare uno strumento di libertà, non di controllo. E tutto inizia da qui: proteggendo te stessa e insegnando agli altri che la cybersecurity è una forma di cura di sé.

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